I giochi finzionali di gruppo

Che cosa sono i Giochi finzionali di gruppo? 

 

di Rodolfo Sabbadini

 

 I Giochi Finzionali di Gruppo nascono nella seconda metà degli anni ’90, per opera di un gruppo di psicologi che, in quegli anni, collaboravano con me presso il Laboratorio di Psicologia e Psicoterapia di Torino.

Il debutto formale dei Giochi avvenne nelle aule dell’Università degli Studi di Macerata, precisamente in occasione di una serie di lezioni che tenni presso la Facoltà di Lettere e Filosofia, su invito dell’amico Prof. Andrzej Zuczkowski, che ebbe l’idea di proporre ai suoi studenti di Scienze della Comunicazione il mio lavoro nell’anno accademico 1999-2000.

Anche per tale occasione logistica, il tema dei Giochi Finzionali è stato anche oggetto di tesi di laurea presentate da studenti laureati presso quella Facoltà.

Sul piano bibliografico la teoria dei Giochi Finzionali di Gruppo è stata inizialmente formalizzata nel volume Ho trovato uno strano oggetto (Sabbadini, 2002); è stata ripresa, successivamente, con riferimento alla gestione dei Giochi on line (Sabbadini, Melato, Penna, 2008), e più recentemente è stata aggiornata nel mio libro sul metodo drammaturgico per il counselling (Sabbadini, 2012).

Dall’epoca della loro ideazione, i Giochi Finzionali vis à vis e on line hanno avuto applicazione in diversi ambiti operativi: sociale, scolastico e aziendale (Pasquino, 2007).

 

Un Gioco Finzionale di Gruppo è un esercizio dell’immaginazione.

Un componente del gruppo di Giochi, colui che diverrà il protagonista della storia, immagina di trovarsi in una situazione finzionale, e comincia a raccontarla: descrive cosa vede e sente, chi c’è intorno a lui, quali avvenimenti accadono, quali stati dell’animo sperimenta.

Quando un secondo giocatore-attore si inserisce nella finzione, assumendo il ruolo di interlocutore, ecco che il monologo diventa dialogo e, mano mano che gli interlocutori aumentano, il Gioco Finzionale prende forma, dando luogo ad una vera e propria piéce teatrale.

I Giochi nascono con l’obiettivo essenziale di favorire una maggiore consapevolezza di sé nei partecipanti, attraverso un lavoro che si pone deliberatamente agli antipodi dei percorsi “dolorosi” che caratterizzano sovente la psicoterapia e l’analisi personale.

I Giochi Finzionali di Gruppo sono strutturati per promuovere un apprendimento caratterizzato da un clima di benessere e di divertimento.

Nella pratica, il Gioco rappresenta una palestra dove chi partecipa prende consapevolezza di alcuni, personali, modelli interpretativi della realtà, e dove può anche decidere di sperimentarne di alternativi, eventualmente facendoli propri definitivamente.

Incrociando la pratica dei Giochi con i modelli interpretativi del Conversazionalismo di Giampaolo Lai, il Gioco svolge un’altra funzione importante: quella di produrre un testo – il testo della storia registrata e trascritta – sul quale possono essere applicate una serie di procedure di diagnostica testuale. Tale diagnosi è finalizzata a evidenziare lo stato delle conversazioni trascritte e a tracciare le possibili evoluzioni testuali delle conversazioni che potranno essere prodotte dalle stesse persone che hanno animato il Gioco.

Più precisamente, gli obiettivi sono quelli di evidenziare le condizioni di felicità o infelicità delle conversazioni e di progettare opportuni accorgimenti affinché la “conversazione felice” sia il più possibile a portata di mano.

E’ importante tener presente che si tratta di una felicità conversazionale, non già della felicità psicologica.

La felicità conversazionale si realizza quando le parole scambiate dai partecipanti sono conformi a precisi parametri grammaticali, sintattici, logico modali, e gli interlocutori rispettano alcune regole quali, ad esempio, quelle di non porsi domande e di non interrompersi reciprocamente.

In buona sostanza, come insegna il Conversazionalismo, una conversazione può essere felice anche se gli interlocutori non lo sono, mentre è più difficile che accada l’inverso.

Nella pratica dei Giochi Finzionali di Gruppo i giocatori si impegnano ad etichettare con un motivo narrativo tutti i passaggi della recita che per loro sono particolarmente significativi.

Un motivo narrativo è l’estrema sintesi di un testo, o di una parte significativa di esso, alla quale possiamo attribuire la caratteristica di esprimere compiutamente il significato complessivo che quella parte di testo ci comunica.

Ciascun gruppo omogeneo di motivi narrativi, potenzialmente, evidenzia una prospettiva dalla quale può essere osservata la storia creata.

 

Vediamo un esempio.

In questo Gioco, il protagonista si sveglia al mattino e si rende conto di essere in un mondo che non conosce. Incontra vari personaggi, interpretati da altri membri del gruppo, e ciascun personaggio gli fornisce una descrizione diversa del mondo in cui è capitato. Alla fine, il protagonista decide di tornare a casa e chiede agli altri personaggi indicazioni su come poter lasciare quel mondo. Costoro, invece di aiutarlo, sembrano volerlo prendere in giro, quasi per tenerlo prigioniero.

 

Al termine del Gioco, il gruppo individua, tra gli altri, i seguenti motivi narrativi:

 

-         Non so se vivo la vita oppure un sogno;

-         Non so a chi dare retta;

-         Voglio tornare a casa;

-         Se non mi lasciate tornare a casa sarete puniti

 

I primi due sono motivi di incertezza, di confusione, di difficoltà a decidere. Gli altri due, invece, esprimono il desiderio, l’esigenza, di “tornare a casa”, di recuperare una dimensione famigliare dalla quale ci si è allontanati.

Questo è il prodotto del lavoro con i motivi narrativi, e questo è quanto viene restituito al protagonista del Gioco come feed back del gruppo. Tale feed back è riferito alla specifica dinamica sociale caratterizzante il Gioco ed è formulato sulla base delle espressioni verbali effettivamente formulate durante la recita.

La teoria dei neuroni specchio di Giacomo Rizzolatti (2006) ci consente, oggi, di rilevare che i motivi narrativi, oltre a rappresentare un importante feed back per il protagonista del Gioco, costituiscono potenti indicatori per lo stesso osservatore che li formula.

Ricordiamo infatti che, secondo il meccanismo dei neuroni specchio, un’azione fatta da un altro ha l’esito di sollecitare, in un osservatore, i neuroni che si attiverebbero se egli stesso facesse quell’azione, e il rispecchiamento si realizza ogni volta che la percezione dell’altro attiva nel cervello di chi sta guardando una sensazione collegata a ciò che chi agisce sta facendo o esprimendo.

D’altra parte, le forme di rispecchiamento che l’attore della recita può indurre variano a seconda del variare degli osservatori in quanto, nella teoria di Rizzolatti, l’azione di rispecchiamento interessa le esperienze che sono prioritariamente significative nella storia personale di chi guarda.

Secondo l’approccio drammaturgico al counselling i Giochi Finzionali di Gruppo si collocano efficacemente anche nel processo di addestramento di coloro che intendono sviluppare le proprie attitudini all’empatia nei confronti del cliente. Per tale motivo la partecipazione a Gruppi di Giochi fa parte del percorso di evoluzione personale degli allievi della Scuola di Counselling ITAT.

Il processo empatico, che rappresenta un riferimento per tutto l’intervento professionale del counsellor, secondo l’approccio drammaturgico ha lo scopo di instaurare una provvisoria condivisione emotiva, non tanto con la persona-cliente, quanto con il personaggio che il cliente intende far vivere nella sceneggiatura che andrà a scrivere con il counsellor.

Nella fase di Gioco, i partecipanti e gli osservatori presteranno attenzione alle parole di coloro che animano la storia, al fine di verificare possibili spazi di identificazione con essi, con i loro moti dell’animo, con le loro prospettive di vita; dimenticheranno – cioè – che essi sono le persone conosciute da tempo, e “presteranno fede” ai personaggi da loro interpretati nella realtà emotiva immaginata, e concretamente rappresentata nel Gioco Finzionale di Gruppo.

Tale esercizio all’identificazione aiuta il counsellor a prendere le distanze dal mondo del proprio interlocutore “reale” per condividere appieno quello del personaggio che il cliente medesimo intende creare nel setting di counselling e riproporre, in un secondo momento, nella sua realtà di vita.

 

Per altre informazioni

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Bibliografia breve per chi è interessato all’argomento e desidera approfondirlo:

 

Pasquino F. (2007) Gli psicologi in gioco per le aziende, Il Sole 24 Ore, nord ovest, 30 Maggio 2007

Rizzolatti G., Sinigaglia G. (2006), So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio, Cortina, Milano

Sabbadini R. (2002) Ho trovato uno strano oggetto, Trauben, Torino

Sabbadini R. Melato P., Penna R. (2008) La Chat felice, Trauben, Torino

 Sabbadini R. (2012) Il metodo drammaturgico nella relazione di counselling, FrancoAngeli, Milano

http://www.tecnicheconversazionali.it/

www.psicolaboratorio.it