L'antefatto nella relazione di counselling

L’antefatto nella relazione di counselling

di Rodolfo Sabbadini

APPUNTI di Supervisione avanzata in counselling del gruppo professionale ITAT

26 Gennaio 2013

 

L’esercizio del counselling può rappresentare una fase propedeutica o complementare di altre professioni (per esempio: del medico o dell’infermiere, dell’insegnante, dello psicologo o dello psicoterapeuta, del formatore, del manager, dell’assistente sociale, del legale, ecc.), oppure può essere praticato come autonoma forma di consulenza a favore del cliente che porta uno specifico problema.

Chi si avvicina al counselling, dunque, proviene da aree professionali molto diverse tra loro, e questa variabile non può non influire sulla teoria e sulla pratica della professione.

Secondo Rita Fioravanzo (2012), in alcuni casi, il lavoro di costruzione della narrazione deve essere preceduto da un lavoro sull’antefatto, e cioè su una condizione strutturale del contesto in cui si inserisce la narrazione che, in alcuni casi, deve essere elaborata per rendere possibile il vero e proprio intervento di counselling.

Rita Fioravanzo, molto efficacemente ha formulato un parallelismo tra il counselling drammaturgico ed il lavoro degli psicoterapeuti, come lei, che intervengono sul trauma

“Certo, anche a noi come psicoterapeuti le persone arrivano con un problema specifico. Ma nel testo di Rodolfo, la focalizzazione sul problema è più marcata, anzi è centrale, esattamente come in psicotraumatologia, dove le persone arrivano portando il problema specifico del trauma subito, come “il” problema….

…Rodolfo dice che per il counsellor la questione è di individuare e sviluppare le risorse che quel cliente ha rispetto a quello specifico problema.

La prima cosa che a noi, di fronte a un paziente traumatizzato, spetta focalizzare sono proprio le risorse che quel paziente sta mettendo in campo per superare l’evento traumatico. Questo è importantissimo, perché quelle risorse sono il nostro possibile campo d’azione. La cosa più sbagliata che si possa fare con un paziente traumatizzato è pensare al di fuori del campo di risorse che lui in quel momento possiede. Sappiamo che il trauma è un’esperienza di impotenza. Dopo il trauma il paziente raccoglie come in un piccolo giardino recintato le risorse residuali, non parlo delle risorse fisiche ma soprattutto di quelle  esistenziali, psicologiche, le quali vengono ben definite dal paziente, perché dopo un trauma naturalmente cerco di mettere in atto tutte le risorse atte a difendermi, a proteggermi, cose che tecnicamente chiamiamo gli evitamenti.

Ma in quel percorso dal prologo all’epilogo – che troviamo identico nel paziente traumatizzato, per il quale il prologo è il trauma, e l’epilogo vivere bene a partire dall’evento traumatico – noi troviamo un’altra figura drammaturgica, non nominata da Rodolfo, forse perché assente dal suo contesto, che è l’antefatto.

Allora l’antefatto, nella situazione dei pazienti traumatizzati, diventa l’ostacolo che impedisce il passaggio dal prologo all’epilogo desiderato.

Posso dire solo una parola? Ciò che Rodolfo diceva della memoria mi pare importante. Io dicevo prima che dobbiamo accompagnare le persone fino al compimento dell’azione tragica, far morire il “me prima del trauma”, affinché non ce lo si ritrovi davanti continuamente nella forma del mito, nella forma della competizione. Però, in questo portarlo a compimento tragico, cioè portarlo a morire, è necessario conservarne la memoria. È quello che si faceva nelle culture arcaiche, dove nei presenti viveva, come memoria vivente, l’esperienza dei progenitori. Allora quando iniziamo l’azione (drammatica, non più tragica) di andare a costruire il nuovo personaggio nato dall’evento traumatico, e la psicosi è un evento traumatico, occorre pensare che questo personaggio è tutto da inventare, tutto da creare, ma che d’altra parte ha in sé la grande forza di poter conservare la memoria, che una cosa diversa dal conservare lo spettro. Quello che rende il processo difficile è la grande rabbia che le persone rivolgono verso di sé dopo il trauma. È come se il “sé dopo il trauma” usurpasse, avesse detronizzato quel “sé prima del trauma” idealizzato. Quando è così, ogni progetto drammaturgico viene fatto fallire. Fra i libri di maggior successo nella riabilitazione delle paresi, c’è il metodo Perfetti, che lavora così. Dice al paziente di concentrarsi sull’arto paralizzato, pensando a un’azione compiuta nel passato prima della paralisi. Quindi c’è un utilizzo della memoria dell’azione che dà risultati interessanti in fisiatria” (dalla Rivista Tecniche Conversazionali, n. 48).

Su questo argomento ho già scritto nel nostro Manuale di Counselling:

Il concetto di identità, infatti, è relativamente recente e risponde al bisogno, di chi entra in relazione con noi, di confidare in un insieme certo di pensieri, emozioni e modelli di comportamento. In realtà il soggetto è composto da identità plurime che entrano in relazione tra di loro, a volte in modo felice, a volte in modo infelice. C’è chi riesce a “trasferirsi” da un’identità all’altra con leggerezza ed agio, altri che vivono in modo traumatico il passaggio dall’una all’altra identità….

In un mio precedente lavoro, avevo classificato queste persone, che si trovano in una fase di transizione come “i mutanti”.

I mutanti sono coloro che stanno vivendo il passaggio da una vita all’altra. Non hanno ancora acquisito pienamente le caratteristiche di personalità, emotive e cognitive della nuova vita; non hanno ancora del tutto perduto l’identità che stanno abbandonando. E’ il momento più esaltante e cupo dell’evoluzione. E’ la fase in cui “una parte” della persona “guarda” l’altra, combattuta tra il desiderio di unirsi nuovamente ad essa e la consapevolezza che ciò non è più possibile, se non sul piano superficiale di una “forma” esterna sollecitata da chi gli sta vicino. E’ la fase del “nuovo apprendimento” nel corso della quale entriamo in intimità con una parte di noi stessi che fino ad ora abbiamo “poco frequentato”, come se fosse un’amica che conosciamo da tempo ma con la quale – finora – non avevamo avuto l’occasione di stringere rapporti più stretti. Come la pensa? quali capacità possiede sul piano emotivo e cognitivo? Quali sono i suoi bisogni reali, i suoi interessi, i suoi limiti, le sue passioni? Fino a che punto sarà disposta ad onorare i “contratti” che l’altra parte ha sottoscritto con il proprio contesto sociale? A rispettare, insomma, le regole del gioco che un altro ha accettato?

La prospettiva più appassionante per il mutante è quella della scoperta di capacità, risorse, interessi, passioni della nuova vita, che non credeva gli appartenessero, o che non credeva gli appartenessero in maniera così radicale. Nello stesso tempo si accorge che sta perdendo capacità, interessi e passioni che erano sue nella vita precedente; sul piano emotivo questa perdita può causargli paura, sconforto sensazione di impoverimento, mentre sul piano cognitivo è sempre più consapevole che “tutte quelle cose non gli interessano più”.…..

Il rischio più significativo che corre il mutante è quello di non completare l’evoluzione consapevole e rimanere fissato nella fase di passaggio, in una condizione – lacerante - di continua ed ossessiva attrazione per il passato ed inarrestabile spinta verso il futuro.

Dalle parole di Rita Fioravanzo rileviamo il diverso ruolo svolto, nel lavoro di counselling, dal passato e dal futuro.

Il passato rappresenta un’insieme di condizioni irripetibili, a causa dell’evento traumatico, dalle quali è opportuno affrancarsi per orientarsi senza vincoli di sorta verso un futuro possibile.

D’altra parte la memoria della condizione passata, attraverso il processo recitativo, può rappresentare una risorsa preziosa proprio in questo processo di affrancamento finalizzato a costruire un nuovo personaggio non solo possibile, ma anche probabile.

A questo proposito, dice Giampaolo Lai, facendo ricorso alla sua teoria del Bilateral verbal trade:

“In una dimensione di questo tipo, il trader venditore alias analista, alias terapeuta, alias counsellor, può ascoltare il suo interlocutore, paziente o cliente, secondo due prospettive. Può volgersi verso il passato, cercare di vedere quale sia l’antefatto di ciò che sta accadendo ora sulla Piazza del Mercato, cercando quindi l’antefatto, come diceva Rita, oppure volgersi verso il futuro. Quando ci volgiamo verso il passato, backward, otteniamo delle informazioni più o meno verificabili, otteniamo dati inscritti nella storia, che metteremo nella I maiuscola della nostra formula della speranza di guadagno che richiamo: P(c1|s1,d1,I) =.

È chiaro che al momento del lancio mi baso sulle informazioni del passato, incluse nella I della formula, che Rita chiama antefatto e Rodolfo chiama prologo. È importante per il trader venditore, conversante, psicoanalista, counsellor, di accettare a questo punto la sua condizione di incertezza, il suo essere consapevole che non sa che cosa accadrà delle sue parole lanciate, il salto che compie dal sapere della conoscenza psicologica storica, al non sapere della probabilità (dalla Rivista Tecniche Conversazionali, n. 48).

Vediamo, ora di avvicinarci progressivamente ad una nozione di trauma che si colleghi ad una concezione di antefatto utile nel nostro lavoro di counsellor.

Per Freud il trauma si concepisce come un’esperienza che sollecita risposte cognitive ed emotive della persona superiori alle sue capacità. Secondo lo psicologo Pierre Janet, la percezione dell’evento traumatico non può venire integrata nel sistema psichico preesistente all’accadimento traumatico, provocando così una condizione di disagio o vera e propria psicopatologia.

L’evento traumatico viene vissuto dalla persona come una minaccia alla propria integrità fisica e al proprio equilibrio psicologico.

Senza considerare i traumi conseguenti alle catastrofi, alle violenze e agli abusi fisici, possono rappresentare eventi traumatici, a titolo esemplificativo, il bullismo, il lutto, la malattia, gli incidenti, la violenza verbale, la minaccia o la perdita di sicurezze personali, ecc.. Il solo assistere ad episodi di questo tipo può costituire un evento traumatico.

Vediamo, dunque, di formulare una definizione di antefatto che ricomprenda gli elementi caratterizzanti finora considerati e che sia funzionale alla moderna concezione di counselling.

“L’antefatto è’ una componente della realtà soggettiva, relazionale oppure oggettiva, esistente prima dell’evento traumatico, che il medesimo evento traumatico mette in crisi provocando il trauma.

Se la persona decide di attenuare o neutralizzare l’infelicità conseguente al trauma dovrà accettare di purificare la propria narrazione da ogni componente che potrebbe contribuire a richiamare l’antefatto.

Esso, infatti, resterà indissolubilmente ancorato al prologo dall’evento traumatico, e non potrà essere compreso nella narrazione che accompagnerà il protagonista verso l’epilogo.”

Il concetto di antefatto può essere esteso a tutte le condizioni strutturali, di contesto o soggettive, che il counsellor pone come postulato condiviso con il cliente e che, invece, nel corso del lavoro, può rivelarsi inattendibile.

Il manager che svolge interventi di counselling verso i propri collaboratori potrebbe dare per scontato che essi accettino la condizione di dipendenza gerarchica nei suoi confronti.

Il medico e l’infermiere potrebbero considerare come postulato del loro intervento l’orientamento del malato verso la guarigione.

Nel lavoro con le coppie il counsellor può ritenere che i partner escludano la violenza fisica come modalità legittima di interazione.

Ora, può accadere, invece, che la concezione di un rapporto paritario con il manager congruente con una falsata immagine professionale di sè, oppure l’orientamento del malato al mantenimento di una patologia eventualmente funzionale alla gestione delle proprie relazioni interpersonali o, ancora, l’accettazione della violenza maschile funzionale ad una particolare concezione della relazione uomo – donna, vengano focalizzati nel corso del lavoro con il counsellor rendendo, così, evidente l’esigenza di elaborare l’antefatto prima di proseguire nel processo drammaturgico.

Dei tre esempi riportati, almeno due comporterebbero, da parte del counsellor, un invio del cliente ad uno psicologo o psicoterapeuta, lasciando intuire una concezione patologica della realtà.

In alcuni casi, effettivamente, l’emergere dell’antefatto richiama una forma di disturbo di natura psicologico, in altri casi segnala semplicemente una contingente incapacità di una corretta lettura della realtà e l’impossibilità di attivare, provvisoriamente, le proprie risorse cognitive. Una condizione, insomma, in cui il counsellor ha piena capacità e legittimazione ad intervenire.

Come si può rilevare, l’antefattorappresenta una componente del counselling drammaturgico strettamente correlato all’ambito operativo del professionista. Esso, spesso, rivela la sua opacità quando il processo narrativo è già stato avviato. In questo caso è necessario sospendere il lavoro, trasparentizzare l’antefatto, e verificare se il lavoro comune può essere proficuamente ripreso.

Naturalmente, solo talvolta l’antefattosi manifesta come un elemento d’ostacolo al lavoro del counsellor. Nella maggioranza dei casi esso rappresenta un elemento strutturante, non esplicitato del prologo.

Nella fase finale del lavoro, quando il cliente si immedesima con il personaggio che egli stesso ha contribuito a creare insieme al counsellor, e con la regia di quest’ultimo diventa attore, possiamo dire che l’antefattosi apparenta con il retroscena. L’antefatto è un oggetto narrativo sul quale il counsellor e il cliente possono essere chiamati ad intervenire, interrompendo la stesura della sceneggiatura alla quale stanno lavorando, per renderlo trasparente e rendere, così, possibile il prosieguo del lavoro narrativo. Il retroscena rappresenta un luogo drammaturgico dove, periodicamente, l’attore si rifugia, interrompendo l’azione attorale, per metterla meglio a punto e riprenderla poco dopo con maggiore efficacia e credibilità.

Entrambe le operazioni implicano la sospensione di un lavoro orientato verso il futuro (forward), per recuperare provvisoriamente una prospettiva passata (backward).

Vediamo, ora, alcuni casi di counselling che possono essere esaminati con la griglia di lettura dell’antefatto.

Mariangela è una giovane laureata SUISM, esperta allenatrice di squadre di Volley. Dopo aver allenato squadre secondarie, è stata contattate da una qualificata società che le ha affidato come allenatrice quattro squadre maschili che, fino ad oggi erano state allenate da allenatori maschi. Questo lavoro per Mariangela è molto qualificante perché il fatto che sia stata scelta lei ha comportato anche il superamento di un consolidato pregiudizio antifemminile di quel contesto sportivo.

L’impegno di Mariangela è rilevante. Oggi ha la disponibilità di una sola serata alla settimana e di una domenica al mese. Per il resto è impegnata con le sue squadre. Tuttavia, il suo fidanzato, spesso lontano dal lavoro non si lamenta.

Recentemente ha cominciato a soffrire di ricorrenti dolori addominali e la madre la sta richiamando in modo insistente ad una vita più ”sana ed equilibrata”.

Mariangela si rivolge al counsellor per acquisire strategie che le consentano di “ridurre l’attività”.

Nel corso del lavoro presto si evidenzia che Mariangela non vuole rinunciare ad allenare nessuna delle squadre che via via le sono state assegnate grazie ai suoi progressivi successi.

Evento traumatico

Qual è il fatto che ha messo in crisi Mariangela? In altre parole, qual è l’accadimento che innesca una deriva infelice nell’esistenza, felice, di Mariangela?

I rimproveri della madre, il mal di stomaco

Prima di avvertire il disturbo fisico del mal di stomaco e il disturbo psicologico del rimprovero, Mariangela stava bene.

Un’altra, al posto suo avrebbe potuto pensare “mia madre è la solita brontolona che vorrebbe che io facessi una vita tutta casa e lavoro, come ha fatto lei; mai io mi guardo bene dal darle retta! Tanto so che mi vuole tanto bene comunque”.

E poi “Quel mal di stomaco… dev’essere stato per l’altra sera che ho preso un po’ di freddo”.

Invece Mariangela risponde diversamente.

Il trauma

Come dice Janet, Mariangela non riesce ad integrare nel suo sistema psichico, così com’era strutturato prima dell’evento traumatico, i nuovi accadimenti e ciò la porta ad avvertire il disagio conseguente al trauma e la induce a rivolgersi al counsellor.

Il lavoro con il counsellor

Il lavoro di counselling consisterà, coerentemente con il contratto stipulato con Mariangela, nel costruire una storia in cui la protagonista, Mary, arriverà ad una situazione in cui lei, avendo progressivamente ridotto i suoi impegni sportivi, vive serenamente i suoi rapporti con la mamma, e non ha più quei fastidiosi crampi allo stomaco.

Durante il lavoro, tuttavia, Mariangela non riesce a visualizzare possibili azioni che potrebbero portare Mary a raggiungere felicemente l’epilogo. D’altra parte tende a proporre al counsellor scambi da “Si… ma” rispetto alle proposte che egli stesso formula.

Dopo qualche scambio, si evidenzia che Mariangela non ha accettato che l’epilogo da lei definito sia incompatibile con un personaggio che mantiene inalterate le gratificazioni professionali e le relazioni affettive che – oggi – i suoi impegni le procurano.

Tale condizione rappresenta l’antefatto.

Come dice Rita Fioravanzo: “Il mito dell’antefatto è tutto ciò che era nel mondo di questa persona prima dell’evento traumatico” e che con il sopravvenire del trauma, viene inesorabilmente perduto.

La focalizzazione dell’antefatto, attraverso una sorta di flash bnack filmici, dunque, può portare il cliente ad una consapevolezza sul piano cognitivo dell’incongruenza narrativa, e a farlo “ragionevolmente” decidere di abbandonare il personaggio caratterizzato da quel antefatto, oppure a renderlo consapevole di non avere la forza di rinunciare ad esso. In questo secondo caso il counsellor può suggerirgli di rivolgersi ad uno psicologo.

 

Bibliografia

Fioravanzo R. (2012), "Il personaggio in più: l'antefatto", Tecniche Conversazionali,  XXIV, 48, Ottobre, www.tecnicheconversazionali.it

Lai G. (2012), "Dalla conoscenza della storia all'azione sul futuro, Tecniche Conversazionali, XXIV, 48, Ottobre, www.tecnicheconversazionali.it

Sabbadini R. (2012), Il metodo drammaturgico nella relazione di counselling, Franco Angeli, Milano

 

     

 

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